«Intercettazioni, troppe garanzie ai parlamentari»La Consulta boccia in parte la legge Boato
ROMA (23 novembre) - La Corte costituzionale giudica in parte illegittima la legge Boato sulle garanzie ai parlamentari in materia di intercettazioni telefoniche. Non c'è bisogno di autorizzazione della Camera quando la magistratura intende utilizzare le intercettazioni telefoniche di un indagato nelle quali figura anche un parlamentare che non è sotto inchiesta, hanno stabilito i supremi giudici. Se invece le intercettazioni si vogliono utilizzare sia nei confronti di terzi che del parlamentare, il "no" all'autorizzazione «non comporterà l'obbligo di distruggere la documentazione delle intercettazioni, la quale rimarrà utilizzabile» per le parti che non riguardano il parlamentare. E' quanto ha stabilito la Corte Costituzionale con una decisione destinata ad avere effetto sull'inchiesta della procura di Milano sulle scalate bancarie e sull'utilizzazione a carico dell'ex presidente di Unipol Giovanni Consorte delle conversazioni in cui compare anche il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema. La Corte, con la sentenza n. 390 redatta dal vice presidente Giovanni Maria Flick e depositata oggi, ha dichiarato l'illegittimità di 3 commi dell'articolo 6 della legge Boato (n.140 del 2003, sulle prerogative riservate ai parlamentari e alle alte cariche dello Stato in materia di processi penali) nella parte in cui stabiliscono che l'immediata distruzione o la non utilizzazione delle intercettazioni in nessun grado del procedimento «si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti dei soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate». A sollevare la questione di legittimità era stato il Gip del tribunale di Torino segnalando in primo la violazione del principio di uguaglianza dei cittadini (articolo 3 della Costituzione) perché le conversazioni indirette o casuali non incidono sulla funzione parlamentare «in quanto sono state eseguite su utenze o presso luoghi non in uso al parlamentare e la loro utilizzabilità processuale nei confronti di quest'ultimo resta comunque preclusa dalla mancata autorizzazione della Camera». Le contestazioni riguardavano altri due punti delicati: la distruzione della documentazione «rischia di penalizzare il diritto di difesa degli indagati o di altre parti, in primo luogo la persona offesa, e l'obbligatorietà dell'azione penale. Le norme della legge Boato finite nel mirino, si sottolinea nella sentenza, «si rivelano incompatibili con il fondamentale principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione» perché «accordano al parlamentare una garanzia ulteriore rispetto alla griglia dell'articolo 68 che finisce per travolgere ogni interesse contrario: si elimina dal panorama processuale una prova legittimamente formata, anche quando coinvolga terzi che solo occasionalmente hanno interloquito con il parlamentare». Una disparità di trattamento, dicono i supremi giudici, «non solo tra il parlamentare e i terzi ma tra gli stessi terzi. Le intercettazioni, infatti, possono contenere elementi utili, o addirittura decisivi, sia per le tesi dell'accusa che per quelle della difesa». Vietare il loro uso anche contro indagati non parlamentari, significa di fatto «configurare una immunità a vantaggio di soggetti che non avrebbero comunque ragione di usufruirne».
stampa
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento